MINISTRI @ MA, CATANIA

I Ministri4_musicaintorno23/04/2016

A soli sei mesi dall’ultima data catanese, tornano in Sicilia i Ministri. Una band che non ha bisogno di alcuna presentazione: il tour a supporto di Cultura Generale, quinto album della loro carriera, ha fatto il botto, con sold out nei maggiori club d’Italia e partecipazioni a grandi festival su tutta la penisola.

Non è un caso che i tre milanesi (quattro, in realtà, in sede live) siano tornati a trovare una città che li ha sempre tributati con un grande calore, come dimostrano i pienoni dello scorso novembre e quello di quest’ultima tappa. I locali e il palco del MA sono atipici per un concerto rock e non sono enormi, ma proprio per questo conferiscono all’ambiente un’atmosfera più intima e consentono l’ennesimo tutto esaurito. È chiaro che un live a pochi mesi di distanza potrebbe abbassare notevolmente l’hype, se non fosse che – come al loro solito – i Nostri sanno come ingraziarsi il pubblico, proponendo una scaletta comprendente alcune chicche, annunciando anche l’estrazione di un esclusivo vinile limitato a una copia, con una grafica dedicata alla città di Catania.

Le porte del locale si aprono intorno alle 21.30, consentendo allo zoccolo duro di fan di accaparrarsi le prime file, anche se a prima occhiata si paventa una scarsa affluenza. In realtà il pubblico catanese è avvezzo a farsi attendere, e solo verso le 22.45, orario di inizio del live, la sala può dirsi piena e Sonia Andolina, imbracciata la reflex, è pronta a scattare.

I Ministri2_musicaintornoLa scaletta si apre con una prima sorpresa: si tratta dell’imponente “Fari spenti”, brano tratto dall’EP La piazza (2008), ovvero dal lato più recondito della discografia della band. Il resto della scaletta pesca da tutti gli album dei milanesi, con un’ovvia attenzione a Cultura Generale. La parte iniziale è di quelle toste: le nuove “Balla quello che c’è” e “Idioti”, intervallate da “Comunque” e “Gli alberi”, alcuni tra i brani più fortunati della band, mandano il pubblico in visibilio.

C’è spazio anche per un momento più raccolto con ballad come “Sabotaggi” e “La nostra buona stella”, senza dubbio sentite ed emozionanti, ma che smussano un po’ troppo gli angoli di una performance finora robustissima. D’altronde il nuovo corso del sound dei Ministri è questo, ed è giusto che sia rappresentato a dovere.

Uno dei punti forti della band è senz’altro la capacità di scrivere degli anthem liberatori, quelli dai quali non ci si può esimere dal cantarli con le braccia tese al cielo, ma allo stesso tempo credibili, lontani da facili slogan. È il caso di “Tempi bui”, ispirata – come annunciato da un Federico Dragogna più loquace del solito – da un certo “cantautore” di nome Bertolt Brecht, e soprattutto di “Noi fuori”. Vera e propria dichiarazione d’intenti, di radici e di visione del mondo della band e del proprio pubblico, è il brano che più di tutti si candida a diventare un inno generazionale, gridato all’unisono da un grande noi. Dopo il consueto siparietto che vede, nell’ordine, uscita di scena, acclamazione del pubblico e ritorno per i brani conclusivi, arriva un’altra chicca. Si tratta di “Vicenza (La voglio anch’io una base a)”, brano contorto, corrosivo, grezzo e politico, che il gruppo non è solito riproporre dal vivo, ma che è oro colato per chiunque sogni una scaletta basata sul vecchio repertorio. La chiusura è affidata ad un poker che rappresenta un ottovolante emozionale: la sofferta “Il bel canto” – con i consueti stage diving e surf sulla folla da parte di Davide Autelitano – seguita dal nuovo classico “Io sono fatto di neve”, brano “da accendini” tra i più amati di Cultura Generale, e dal punk socialmente connotato di “Diritto al tetto”.

Come da abitudine, il concerto si chiude con “Abituarsi alla fine”, un vero e proprio hapax legomenon nella discografia della band: oscuro e disperato come nessun altro brano dei Ministri. Dal vivo ogni suo aspetto viene accentuato, per raggiungere picchi di emotività impressionanti. Da vivere, più che da guardare.

Tirando le somme, è doveroso sottolineare che, sia sotto un’ottica esclusivamente tecnica, sia per quanto riguarda il carisma e la presenza scenica, i Ministri sono una band pronta a calcare palchi importanti. Si contano sulle dita di una mano gli artisti che, in tempi recenti, sono riusciti a costruirsi una carriera (e una grande fanbase) con i tour, con la gavetta, con il sudore, senza – o con pochissimi – compromessi. Va anche considerato che il rock dei Ministri, malgrado sia ammorbidito rispetto agli esordi, è lontano dai canoni radiofonici, ma anche da certe derive cantautorali che vanno di moda tra il pubblico indie (e sul pubblico dei Ministri e la sua singolarità si potrebbe aprire un capitolo a parte, ma questa è un’altra storia). In ogni caso, in sede live ancora più che su disco i Nostri dimostrano che dire “rock italiano” è ancora credibile e non deturpa il significato stesso del lemma anglofono. Siamo davanti a una band che, riuscendo a scollarsi di dosso l’etichetta di emergente, è finalmente emersa.

 

Francesco Paladino

 

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