LE ANIME DI ZANIN

Margherita Zanin01_musicaintornoPiù di una volta ci siamo chiesti cosa rappresenti la canzone, in che misura riesca a veicolare le intenzioni di chi canta. Non ci dispiace non conoscere risposte a sufficienza – nella nostra vocazione al considerare le cose da più punti di vista, possiamo così continuare ad assecondare il piacere per l’approfondimento continuo.

Se, poi, ci è parso talvolta di raggiungere una qualche conclusione, abbiamo creduto possibile distinguere la canzone nel racconto cantato e nel canto disinteressato al racconto…

… dove le parole, non servendo che da mezzo ad una bella voce (nel migliore dei casi), in uno sterile narcisismo finiscono per non assurgere al loro naturale fine, al significato. In questa perenne ricerca, ci immergiamo in Zanin, primo album omonimo della giovane cantautrice Margherita Zanin. I cantautori sono il nostro rimedio, quel racconto cantato che vale medicina al resto.

Un ostinato malinconico ci introduce in un ambiente uggioso, sospeso tra la necessità dell’autrice di svelarsi e il suo desiderio di spingerci a scoprirla, magari superando le finestre chiuse della prima traccia, Piove. Anche la voce si dà in due anime, quando cogliamo che nella savonese l’asprezza delle prime esperienze rock convive con la sinuosità di vocalizzi più maturi, tendenti al jazz. L’intenzione è dire, non sembrare. Il sole chiude il primo ascolto.

Non è un caso. Generale è la coraggiosa sorpresa che segue, l’originale interpretazione che della magnifica canzone di De Gregori la Zanin ci regala. Un crescendo fa giorno: dal morbido tappeto elettronico a sostegno del tema vocalizzato e disteso, mano nella mano alle chitarre, più riservate dei grilli campionati, ci si innalza in un canto bruciante incontro al sempre atteso messaggio della guerra finita, del tra due minuti è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore. Ne indoviniamo, forse, tutta una voglia di arrivare per quello che si è, distante da quello che si è stati – l’esperimento di Amici è acqua passata, percorsa buona parte della distanza che allontana dalla massificazione musicale.

Margherita Zanin04_musicaintornoAllora anche il passaggio da un linguaggio ad un altro (l’inglese degli anni trascorsi a Londra apre il capitolo più ampio del disco), trova un senso, quando di norma non ci convince l’impiego di un’altra lingua in Italia – riconosciamo già abbastanza complicato comunicare in una stessa parlata, e che l’italiano resti la lingua della bellezza cantata, racconto compreso poiché confortati proprio dal De Gregori che è riuscito a cantare di Dylan l’America in Italia, in italiano.

Le sei tracce “inglesi”, esprimono, al di là di ogni riserva linguistica, altrettante esperienze musicali, anime. Competentemente.

Se le riuscite Feeling safe e Travel crazy mettono a nudo l’artista più folk e country, è a You’re better out che riconosciamo il podio per il gusto avant-garde che, complice un arrangiamento sognante, ci suggerisce l’oscurità che profuma alcune memorabili pagine firmate Pink Floyd. Joe’s blues denuncia già dal titolo un altro amore, il blues: l’America più schietta in meno di tre minuti. Riesce a tutti?, ci chiediamo.

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In un ritorno al quadro piovoso dell’attacco, ma più leggero se scopriamo a fischiettare raggi di sole, ci saluta The lord coming home, vero e proprio documento di identità: blues in my soul, peace in my heart, rock in my soul, love in my eyes.

Zanin, coming on.

 

 

Giuseppe Sanalitro

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