“ALCOL, SCHIFO E NOSTALGIA”. VOINA IN TOUR

Voina 01_musicaintornoÈ appena partito l’“Alcol, schifo e nostalgia tour” (Dadalive) e molto si può dire degli abruzzesi Voina: ad esempio che ce la mettono tutta per bruciare le tappe.

Nel 2015 usciva Noi non siamo infinito, prodotto da Manuele Fusaroli e Marco Di Nardo dei Management del Dolore Post-Operatorio; a poco più di un anno, dopo i live che li hanno portati a condividere il palco con i migliori nomi della scena indipendente italiana e il riconoscimento del MEI come “miglior band emergente” del 2016…

… arriva una nuova fatica chiamata Alcol, schifo e nostalgia, edita dalla sempre attenta INRI. Non si può dire che le premesse non siano allettanti, ma in certi contesti la banalità è dietro l’angolo, e potrebbe trattarsi della “solita” band, che propone il “solito” rock, fregiandosi della “solita” etichetta di indie. Bene, specifichiamo sin da subito che il quadro appena tracciato non rappresenta la realtà dei fatti che i Voina ci raccontano con quest’album.

Voina 02_musicaintornoCi pensa “Welfare”, infatti, a smontare i preconcetti: questi abruzzesi pestano, urlano, vanno dritti al punto e colpiscono, e lo faranno per tutta la durata del disco. I suoni – limpidi, curatissimi – sono debitori, in maniera abbastanza evidente, dei Ministri, band dal cui confronto non si può prescindere in quest’ambito.

I punti di contatto sono parecchi, specialmente soffermandosi sul guitarwork e la vocalità di Ivo, che in brani come “Morire 100 volte” o “Gli anni 80” è straordinariamente simile a quella di Davide Autelitano (e non è un lavoro semplice). Ma i Nostri si discostano dal trio milanese per quanto concerne le liriche: non c’è nulla di nascosto, interpretabile, e fraintendibile nei testi di Alcol, schifo e nostalgia.

Non c’è criticità, né voglia di nascondersi negli attacchi di “Welfare” (“Promettimi che non lavorerai mai”) o nella disincantata “Il jazz” (“Ma quanto fa schifo il jazz?”). I brani dei Voina non sono assalti all’arma bianca, ma analisi di tipi umani nella loro semplicità quotidiana: difficile non riconoscersi in “Io non ho quel non so che”, elogio della normalità, difficile non essere d’accordo con i Nostri e criticare gli intellettuali da salotto di “Non è la Rai” e gli amici invecchiati male de “Il jazz”.

Le tematiche non sono inedite né visionarie – e d’altronde non sembra che ci sia questa pretesa – ma sono affrontate in maniera così sincera, e soprattutto così autentica se paragonata a tante altre realtà, che si soprassiede volentieri su alcuni punti deboli dell’album in favore di un ascolto molto più viscerale, interiore. E se si trattasse di un artificio messo su per catturare la facile attenzione del proprio pubblico? Se ci stessero, insomma, prendendo per il culo? Il dubbio è lecito, ma anche in questo caso la band risulterebbe vincitrice, perché farsi ascoltare non è una qualità da sottovalutare nell’epoca di Spotify, delle paylist e di questo mercato saturo di proposte.

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Alcol, schifo e nostalgia è, in fin dei conti, un album che merita di essere ascoltato per il solo fatto che questi quattro abruzzesi ci mettono la faccia, sudano, riflettono, non hanno paura di denudarsi, né di usare un distorsore. Malgrado alcuni passaggi “facili”, sul piano musicale e testuale, l’attitudine e l’abilità narrativa dei Voina sono palesi e grazie ad esse l’album gira, si fa apprezzare, non stanca nemmeno dopo un numero sostenuto di ascolti. Siamo molto, molto distanti dagli stilemi di quell’hipsterismo dilagante in certa musica italiana, e non può essere che un bene.

 

 

Francesco Paladino

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