SIMONA MOLINARI: “SE NON SAI COME DEFINIRLO, CHIAMALO POP-JAZZ”

“Il jazz mi scorre nelle vene, esalta la mia mente e mi rende libera”

Il virus del jazz, quel virus di libertà diffuso sulla terra a “infettare” tutto ciò che incontra sulla propria strada: il cinema, la poesia, la pittura, la vita…

Ebbene, quello stesso virus che scorreva nelle vene di Steve Lacy, riconosciuto universalmente come uno dei più importanti interpreti del sassofono soprano, pervade l’anima di Simona Molinari. L’artista napoletana cresciuta a L’Aquila, raffinata ambasciatrice dell’universo artistico in rosa a La repubblica delle donne, è al lavoro su un nuovo progetto di inediti.

Musica sperimentale che combina il pop al jazz – quella di Simona – resa fruibile ad un vasto pubblico: elementi che, sommati al sound ritmato e alla voce elegante dell’artista, sanciscono un rinato vigore per un genere musicale ormai caduto in disuso nelle playlist. Musica Intorno ha scambiato quattro chiacchiere con l’artefice di questo successo.

Intervista alle 15:00, perché poi saresti stata impegnata sul set. Di che si tratta, Simona?

«Esordisco al cinema come attrice, ma non ti posso dire molto… solo che il film dovrebbe uscire la prossima primavera.»

Invece, non fai un mistero del tuo “Loving Ella”. Ma, a parte la Fitzgerald, chi ami?

«In realtà tanti, di ognuno qualcosa. La Fitzgerald mi piace soprattutto per lo spirito e l’energia che metteva sul palco: un manifesto di gioia, nonostante la sua vita. Adoro gli arrangiamenti di Vinicio Capossela e quel suo modo di scrivere; adoro Peter Cincotti, con cui ho avuto l’onore di collaborare; mi piace Melody Gardot, per l’intensità che mette nelle sue interpretazioni. Di tutto ciò che ascolto faccio un mix personale, mettendoci dentro la mia musica.»

Un tempo, hai affermato di esserti ispirata a Giorgia. Invertendo i ruoli, per chi oggi potresti essere tu stessa un riferimento?

«Capita ai miei concerti, con le ragazze che vengono a vedermi. Mi sento particolarmente onorata, soprattutto quando si tratta di ragazzine ancora piccole. Al concerto di Taormina, ad esempio, si è avvicinata una ragazzina di 10-12 anni, che studiava canto, e mi ha detto che per lei ero un riferimento. È stato un grandissimo onore, perché riuscire a cavalcare le generazioni, arrivando fino ai ragazzi di oggi, che mi prendono ad esempio, è una cosa fighissima!»

Proprio al Teatro Antico di Taormina eri circondata sul palco da voci amiche. Perché quest’esigenza?

«Per me la musica è condivisione. Mi piace circondarmi di amici, persone con cui stringere legami autentici. E, farlo attraverso la musica, è la possibilità più bella e più grande che mi dà la vita.»

Musica e sempre musica al centro della tua vita: cominci a studiare canto all’età di otto anni, per poi concentrarti sulla musica leggera, sul jazz, sulla classica. Se non avesse fatto la cantante, Simona Molinari cosa sarebbe diventata?

«Ho quest’altro grande amore che è il teatro, la recitazione: forse sempre qualcosa che avrebbe avuto a che fare con il palcoscenico.

… Altrimenti, o l’investigatrice privata o la psicologa (sorride divertita, N.d.R.)»

Negli anni hai collaborato e duettato con artisti di fama mondiale tra i quali citiamo Gilberto Gil, Peter Cincotti, Andrea Bocelli, Danny Diaz, Stefano Di Battista, Fabrizio Bosso, Renzo Arbore, Franco Cerri, Ornella Vanoni. A quale, fra questi incontri, sei più legata e perché?

«Senza nulla togliere a tutti gli altri incontri, credo che uno dei più belli sia stato proprio quello con Peter Cincotti, perché abbiamo la stessa età e la stessa visione di molte cose, nonostante la nostra provenienza da due parti così diverse del mondo: siamo riusciti subito ad intenderci, trovando un’alchimia particolare.»

Restando in tema di affinità elettive, “Maldamore” è un brano scritto con Amara: due donne che descrivono l’idea d’amore e l’equivoco in cui spesso si cade. E il punto di vista maschile dove l’abbiamo lasciato?

«Beh, in realtà, credo che il punto di vista femminile e quello maschile possano essere molto simili: anche un uomo eccessivamente geloso può chiamare quella gelosia amore, quando invece è “maldamore”.»

Umbria Jazz, Pescara Jazz, Lunezia Jazz. Per la tua musica vale la regola: se non sai come definirlo, allora chiamalo pop-jazz?

«Sì esatto – ancora sorridendo Simona – e per me vale ancora di più! Spesso la mia musica è proprio al confine, sia con l’uno sia con l’altro genere, e non sai davvero come definirla. Questo è stato il più grande limite: non riuscire a inserirla all’interno di una categoria specifica: non tanto perché io debba mettere la canzone all’interno di una scatola, quanto invece perché mi rendo conto che, per l’ascoltatore, è una cosa importante da sapere.»

Ancora una curiosità prima di salutarci: nel 2009 eri egocentrica… a quasi 10 anni di distanza, come ti senti?

«Nella vita reale è diverso; ma, quando, sul palcoscenico, faccio quello che mi piace, ancora oggi mi rispecchio esattamente nel brano “Egocentrica”. Dalla prima parola fino all’ultima.»

 

Gino Morabito

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