IVANA SPAGNA, CON LA GRAZIA DI FARE CIÒ CHE AMA

«Non c’è mai stato un solo momento della mia vita in cui ho detto “brava!” a me stessa. Sai perché? Perché mi è stata concessa la grazia di fare ciò che amo. Quante persone possono considerarsi fortunate come me?»

La raggiungo al concerto di Pietravairano, paese al quale mi legano l’aria, la terra e la madre. Mobilito amici storici: il sindaco Francesco Zarone e il prof. Giuseppe Angelone, direttore artistico dell’evento “Teatro Tempio open day 2018” e, invocando la loro consueta disponibilità, riesco a incontrarla e ad ottenere una posizione d’eccezione “front stage”. Mi lascio avvolgere da quella verve allegra, dalla passione vibrante, dall’energia pazzesca e dai racconti di un passato sofferto, che emozionano e la emozionano. Ivana Spagna dona tutto questo a chi ha il piacere di assistere a un suo concerto: picchi di gioia e attimi di dolce malinconia. La ringrazio per quanto mi ha trasmesso, complimentandomi per il coinvolgente spettacolo dal quale prendo spunto per rivolgerle la mia prima domanda.

Durante il concerto hai riproposto “Il cerchio della vita” e “La bella e la bestia”, chitarra e voce da brividi, magistralmente eseguito con Carmine Migliore. Inoltre, nel 1998 insieme a Samuele Bersani, Leda Battisti e Gaetano Curreri, partecipi alla colonna sonora di un altro film di animazione: “La gabbianella e il gatto”. Ne deduco che il mondo “fantasy/cartoon” ti attragga particolarmente. Sono progetti, all’apparenza leggeri, ma capaci di lanciare messaggi forti. Che tipo di slancio ti ha portato a seguire con un tale entusiasmo questo genere di mondo?

«A me piace sognare e abbandonare, momentaneamente, questa realtà, a volta dura, che non mi piace per niente. Il lasciarsi cullare dalla dolcezza dei cartoni animati, che adoro, con queste canzoni che, tra l’altro, sono bellissime, aiuta grandi e piccini ad alleggerire la quotidianità. Mi piace seguire questo mondo perché è puro e dona messaggi importanti di bellezza e speranza.»

Ripartiamo dagli esordi. Talento innato che si palesa in tenera età, partecipi a diversi concorsi; studi pianoforte e, già all’età di 15 anni, incidi il tuo primo 45 giri; mentre nel 1969 ti fai notare al Girogarda con la canzone “Quando tu sorridi”. Come hai affrontato da bambina e adolescente tutto quel fermento? Quali i ricordi che rimandano a quel periodo?

«In realtà io non ci pensavo per nulla a ciò che stava accadendo e a quello che sarebbe potuto succedere in futuro. Ero solo tanto felice di fare certe esperienze con la mia famiglia, che mi accompagnava sempre e di passare del tempo tutti insieme. Al successo non pensavo perché facevo delle cose che amavo e che mi davano gioia. È capitato che mi abbiano chiesto come ho fatto a raggiungere il successo, vedi, è sbagliato proprio il concetto di base. Se tu decidi di cantare o di seguire questa strada, devi lasciarti guidare solo dalle emozioni che questo percorso può donarti, non si può intraprenderlo se non sei guidato esclusivamente dalla passione.»

Il decennio successivo ti vede affrontare un periodo di intenso lavoro, sia da corista per artisti d’eccezione come Sergio Endrigo, Ornella Vanoni, Paul Young, sia come autrice di brani e jingles per spot televisivi inglesi; inoltre, ti esibisci nelle discoteche insieme a tuo fratello Theo; scrivi e canti per il duo Fun Fun.

Come hai vissuto e cosa ti ha insegnato quel periodo di gavetta?

«Vuoi sapere cosa penso della gavetta?

La paragono alle fondamenta di una casa: più sono forti e profonde e maggiore è la possibilità di costruirci su qualcosa di solido e duraturo. Durante il percorso può capitare di subire degli sbandamenti, degli scossoni che interrompono, momentaneamente, la tua corsa e, se non hai alle spalle una lunga gavetta, se non sei abituato a prender botte, desisti subito. La gavetta serve a questo, a costruirsi e a prepararsi bene per quello che dovrà arrivare. Serve anche avere una testa bella dura, come l’ho avuta io! Rifiutavo categoricamente tutte le proposte di cantare in italiano. Volevo solo cantare in inglese e mi imputai a proseguire verso la strada dance a tutti i costi. Ecco come sono arrivata al successo di “Easy lady”: con passione e testardaggine!»

Ivana mi fornisce uno splendido assist per la prossima domanda.

Nel 1986 esplode il successo di “Easy lady”; nel 1987, invece, con il singolo “Call me” raggiungi il primo posto nella classifica europea, la prima volta per un’artista italiana, superando Madonna e Michael Jackson. Nonostante ciò, non si può non notare la tua immensa umiltà. Hai mai detto a te stessa: “Ivana, sei davvero in gamba! Sono fiera di te!”?

«Mai! Non c’è mai stato un solo momento della mia vita in cui ho detto “Brava!” a me stessa. Sai perché? Perché mi è stata concessa la grazia di fare ciò che amo. Quante persone possono considerarsi fortunate come me? Nei momenti di maggior successo, sai cosa ho fatto? Mi sono fermata e ho pianto perché sono consapevole che la vita vera non è il primo posto in una classifica europea, i milioni di copie vendute e i premi che ti arrivano. La vita vera è altro ed io, solo per “grazia ricevuta”, posso dire di aver potuto godere di questi successi. Certo, ci sono dietro i sacrifici, quelli che ancora oggi mi portano a spostarmi in aereo, in treno, a fare viaggi lunghissimi ed estenuanti, a non mangiare e a non dormire, ma nonostante la fatica, ho la fortuna di fare ciò che mi appassiona. Posso solo essere fortemente grata per tutto questo.»

Colpita da tanta delicatezza, viro dolcemente. Mi ha piacevolmente interessata il tuo pezzo “March 10, 1959”, che ricorda la data della conquista del Tibet da parte della Cina e l’assoggettamento della cultura buddhista alla dittatura comunista. Una canzone che muove le corde del Dalai Lama, il quale scriverà una poesia dedicata a te. Cosa ti ha trasmesso e come definiresti questa sorta di incontro culturale ed artistico con una tale personalità?

«Il Dalai Lama è una persona immensa, con una cultura straordinaria e una spiritualità profonda. Di sicuro non può essere considerato un uomo normale, come chiunque: quando sei accanto a lui, sei investito da una forza incredibile e da una pace profonda. Io e lui ci siamo incontrati più volte perché, in diverse occasioni, ho avuto il piacere di cantare per il popolo tibetano. Quando mi affidò quella stupenda poesia, mi attivai subito per creare un progetto che potesse coinvolgere diversi artisti internazionali. Pensa che Richard Gere accettò di partecipare, suonando la chitarra. Poi, purtroppo, si ammalò la mia mamma e io decisi di abbandonare tutto per dedicarmi completamente a lei e seguirla nella sua malattia. Oggi posso dirti che ritengo che quella sia stata la cosa più bella che io abbia mai fatto in tutta la mia vita.»

Passiamo all’esperienza sanremese. Hai partecipato più volte al Festival: nel 1989 come ospite internazionale con il brano “Let me” e, successivamente, presentando canzoni in italiano per le quali ottieni grandissimi consensi da parte di pubblico e giuria. Il Festival è da sempre per gli spettatori motivo di dibattito, tra chi lo osanna categoricamente e chi lo relega nell’inflazionata definizione di “nazional-popolare”. Cosa rappresenta, in realtà, per un artista che decide di esibirsi su quel palco?

«Il Festival di Sanremo è una lama a doppio taglio: se partecipi con una canzone brutta sei finito! Se il pezzo è bello e riscuote successo, hai una risonanza spaventosa perché è un riflettore seguitissimo, ma vale lo stesso se la canzone non piace. Quindi, bisogna stare attenti e ponderare bene le scelte che si fanno prima di salire su quel palco.»

… Pensavo che, a giudicare dalle sue partecipazioni, le valutazioni che Ivana ha fatto sono sempre risultate vincenti! E concludo con l’ultima domanda.

Sei anche autrice di tre libri: “Briciola, storia di un abbandono”, “Quasi una confessione” e “Sarà capitato anche a te”, in cui metti a nudo le tue esperienze legate al mondo dell’invisibile: sogni premonitori, visioni e contatti con spiriti di defunti. Cosa ti ha spinto a palesare questioni tanto delicate?

«Mi rendo conto che questi argomenti sono particolarmente difficili da trattare: non è facile parlare in pubblico a proposito di certe tematiche, perché ti prendono per matto! Non so dire il perché io abbia la capacità o la possibilità di vedere e percepire tutto questo, ma il messaggio che mi sento di divulgare è: non finisce qua! Questa non è l’unica vita: esistono altre dimensioni parallele e io ne ho avuto, più volte, riprova.»

Ivana Spagna è così: non disdegna di esporsi; non si nasconde, anzi ci mostra ogni parte di sé: «Avrei tanto desiderato dei figli e una famiglia bella e unita anche nella sua povertà, come quella da cui provengo. Invece, sono sempre stata un disastro nelle relazioni

Lo dichiara, con forza, dall’alto di quel palco su cui si esibisce, arrivando, con estrema grazia, nei cuori del suo pubblico; una folla di gente che, inevitabilmente, avverte tanta commozione e non può non rimanerne toccata come fosse la propria.

Brigida Buonfiglio

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