IN VIAGGIO CON BOLLANI

 

Stefano Bollani Napoli Trip6_musicaintorno“Napoli. Un universo parallelo in cui mi sono trovato a vagare spesso, da solo o con compagni di viaggio. E stavolta sono davvero tanti, gli amici che mi hanno dato una mano ad imbastire questo affresco.”

Così Stefano Bollani, punta di diamante del pianismo jazz italiano nel mondo ci ha presentato il suo nuovo album Napoli Trip durante l’intervista realizzata per voi.

Si tratta di uno straordinario lavoro dedicato alla città partenopea, un progetto che vede la partecipazione di varie anime: da Daniele Sepe, a garanzia della napoletanità più “popolare”, al DJ norvegese Jan Bang, che ci svela una Napoli vista con occhi lontani e diversi dai nostri, rivisitandola con un vestito sonoro spiccatamente contemporaneo. Il disco, che combina elementi di più mondi, è impreziosito dall’apporto di musicisti di spessore: da un ensemble tutto partenopeo che rilegge Raffaele Viviani e Nino Taranto, all’inedito quartetto composto da Nico Gori (clarinetti e sax), Daniele Sepe (sassofono e flauti) e Manu Katche (batteria) che affronta le nuove composizioni di Bollani create per questo progetto. Nell’album anche il Bollani più intimo, al piano solo, nella rivisitazione degli amori mai andati, Carosone e Pino Daniele, oltre a una canzone di Lorenzo Hengeller dove il nostro si accompagna con la voce, come già accaduto felicemente in passato. Chiude magistralmente l’opera un grande classico, Reginella, impreziosito dal mandolino di Hamilton de Holanda.

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Che ci fa un milanese cresciuto a Firenze, a Napoli?

«Cerca qualcosa di interessante perché ha annusato che c’era da scavare e, in effetti, c’è da scavare. Perché Napoli è sotterranea, possiede l’energia del vulcano, l’energia di un popolo che se ne sta sotto, compresso anche da diverse dominazioni, francesi, spagnoli, fino all’arrivo degli italiani. Insomma, a Napoli si fa il possibile per resistere e c’è questa energia che a volte si traduce in esplosioni creative, altre volte in esplosioni di mancato rispetto delle leggi dello stato. Lo stato probabilmente visto come usurpatore non è neanche una interpretazione del tutto sbagliata.»

Non è un caso, quindi, che tu abbia scritto già nel ‘97 il brano La Sicilia, un altro vulcano. Ad ogni modo, 10 anni dopo hai conosciuto il successo con Carioca che racconta il tuo Brasile e oggi Napoli Trip, e se vogliamo possiamo aggiungere anche Orvieto, il live con Corea. Dunque, la musica per te è più un viaggio o un luogo?

Stefano Bollani Napoli Trip9_musicaintorno«È sempre un viaggio. Anche in questo caso Napoli è il punto di partenza del viaggio. Per cui da Napoli insieme a Daniele Sepe soprattutto, ma anche insieme ad altri che con quella realtà hanno ancora meno a che fare di me come Manu Katche, Jan Bang e Hamilton de Holanda, volevo vedere dove si poteva arrivare. Nell’album ci sono dei brani della tradizione napoletana ma ci sono anche dei titoli originali proprio perché il tentativo è quello di andare, di partire e non di arrivare a Napoli.»

Restiamo nella geografia del viaggio. Dove va il jazz oggi?

«Eh eh… (ride, ndr). Va dove vuole, io non ne ho la più pallida idea.»

Il repertorio della canzone napoletana è vastissimo, dalle romanze ottocentesche a Pino Daniele e oltre. Quanto è costato fare delle scelte tra i titoli noti e quanto, invece, rifarsi alla tradizione, alla città, al gusto spagnolo di Scarlatti – citato da te in conferenza stampa – per i brani originali presenti nell’album?

«La prima è più facile. Nel senso che non mi è costato nulla perché sono scelte di cuore. Qualche anno fa ho fatto un omaggio a Zappa. Un repertorio sterminato, non come quello di Napoli ma pur sempre sterminato. Lì ho scelto i brani che mi piacevano di più e, devo dirti, a memoria, senza andare a sfogliare il catalogo di Zappa. Qui a Napoli ho realizzato una cosa simile ma avendo in più l’aiuto di Sepe che mi ha riempito di dischi, di cose che non conoscevo. Tuttavia, anche in questo lavoro ho pescato “a cuore”. Naturalmente il disco non è esaustivo, non è assolutamente un ritratto di Napoli, piuttosto un mio affresco sull’argomento Napoli. Non dovevano entrarci per forza tutti (i brani noti, ndr) perché sarebbe stato impossibile. Ma qualche dispiacere rimane, che non ci siano alcune cose, intendo. Ma magari appariranno in qualche altro disco.»

Dove andrai dopo Napoli?

«Dopo Napoli, da un lato, a livello discografico non lo so esattamente. Dall’altro, questa estate continuerò a suonare tanto. L’11 settembre sarò a Lipsia a presentare un concerto per pianoforte e orchestra che sto scrivendo. Si chiama Concerto Azzurro, una commissione non del Gewandhaus (con la quale orchestra ha registrato il Concerto in Fa di Gershwin, ndr) ma della MDR orchestra della radio di Lipsia, e soprattutto del mio amico Kristjan Järvi che ne cura la direzione.»

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Nella tua carriera hai diviso il palco con grandissimi nomi del panorama jazz internazionale e sei stato diretto da importanti direttori, ne hai appena citato uno. Hai suonato anche in duo pianistico con Corea che certo non è il primo arrivato. Chi manca all’appello?

«I morti. Visto che in tutte le fiction ritornano, secondo me se tornasse Louis Armstrong io volentieri farei un tour mondiale con lui.»

Senti, quando Stefano è solo cosa suona, se suona?

«Improvvisa molto, come fa d’altronde davanti al pubblico. Poi, ogni tanto, suona… Mozart, almeno attualmente, ma non in generale. È stato, ultimamente, un momento Mozart. Perché Mozart è divertente, ma soprattutto perché nelle sonate per pianoforte ci sono una sacco di cose che possono valere per un pianista.»

Stefano, questa tua invenzione definita geniale dalla critica, è un ventaglio straordinario che dimostri di possedere nell’arte come pochi così bene. Istrionico a 360º, qual è il segreto?

«Ah… (sogghignando, ndr) Il segreto!… Il segreto! Penso che sia risolvere naturalmente un problema che altrimenti verrebbe affidato ai dottori e che si chiamerebbe sindrome quadripolare o pentapolare. Ma invece di finire dallo psicanalista tutta la vita sto cercando – e penso ultimamente, finalmente, di riuscirci -, di essere uno solo, di fare tutte queste cose sentendomi uno solo. Poi, spesso mi chiedono molto semplicemente qual è il vero Bollani. Così ribadisco: io ho la conferma che sono uno solo, cioè il documento è uno, la carta di identità è quella, il passaporto… Diventa divertente che più Bollani possano essere inglobati.»

Conosci il canadese Chilly Gonzales, al secolo Jason Charles Beck? Credo siate due spiriti affini, liberi.

«Sì, lo conosco. Non l’ho mai incontrato ma siamo stati ad un passo dallo sfiorarci. Avevano proposto ad entrambi di incontrarci ma non è andata in porto per motivi pratici, per cui in futuro capiterà, credo. È un personaggio che piace anche a me.»

Stefano Bollani Napoli Trip8_musicaintornoIn Napoli Trip sono presenti ‘O sole mio, Reginella, celeberrime pagine. Tu quando hai realizzato di essere una celebrità?

«Eh eh… (ride, ndr). Ti do due risposte. Spero di non realizzarlo mai, è la prima. La seconda è: io credo di averlo realizzato una volta uscito dalla pancia della mamma perché mi stavano tutti intorno. Quindi ho dedotto che la vita era questa cosa che uno esce, piange, fa un casino, urla e tutti intorno: “ah che carino”, “ah che bravo”, “ma perché piange?”, “ma cosa vuole?”, “aspetta ti diamo da mangiare”. Quindi, in definitiva, se vuoi, la cosa più naturale è stare su di un palco, sono tutti gli altri che inspiegabilmente dopo questo momento della nascita prendono altre strade.»

Un suggerimento, un indirizzo al volo per chi studia musica, si avvicina alla musica.

«Io a un ragazzo direi: avvicinati e studia, approfondisci la musica che ti piace perché se ti piace un motivo c’è. Molto spesso uno non si spiega il motivo per cui è attratto da certe cose, ma se vuole fare il musicista e quindi approfondire l’argomento, e un giorno comporre egli stesso, deve capire il motivo dell’attrazione, che può essere di tipo molto diverso: il rag, il rap, quella canzone di Riccardo Del Turco del ‘62, quel brano di Scarlatti, quell’unico brano di Scarlatti e tutti gli altri no… Bene, va benissimo, non bisogna sentirsi mai in colpa per una scelta. Voglio dire, c’è gente che si sente in colpa perché non apprezza la musica classica ma solo il Bolero di Ravel. Va benissimo. Il suggerimento è: ascolta il Bolero di Ravel e cerca di capire perché ti piace, perché una volta che hai capito trovi altri brani e altri compositori, altre musiche che hanno quelle caratteristiche che ti interessano. Quindi suggerirei anche: segui il primo istinto, perché io sono andato ad istinto. Ad un certo punto ero innamorato di Carosone ed ero solo, non è che i miei amici ascoltassero Carosone. Eppure era lo spunto giusto.»

Ci salutiamo dandoci appuntamento con la bellezza a Taormina per il concerto Napoli Trip del 19 agosto. In uno ritroveremo tutti i Bollani che amiamo.

 

 

Giuseppe Sanalitro

 

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