EDOARDO DE ANGELIS E NERI MARCORÈ, CRONACA DI UN’AMICIZIA OLTRE LA SCENA

“L’ombra di mio padre due volte la mia, lui camminava e io correvo”.

È un attacco che mi è sempre piaciuto, alla vecchia scuola, quella dei cantautori che hanno scandagliato le profondità della musica leggera italiana.

Due ragazzi romani usciti dal Folkstudio, a chiacchierare di progetti comuni: uno risponde al nome di Francesco De Gregori, l’altro è Edoardo De Angelis. Io all’epoca non ero ancora nato ma sono cresciuto ascoltando quella canzone d’autore che avrebbe fatto la differenza nella mia vita. Provate ora a immaginare l’atteggiamento di incredulità quando, a distanza di anni, mi ritrovo dinanzi proprio a quell’Edoardo De Angelis, quasi fossi un amico…

L’amicizia è il punto cardine, come quella che lega il cantautore romano al marchigiano Neri Marcorè, attore di professione e, all’occorrenza, musicista, cantante, presentatore, imitatore… tutti aspetti di una personalità artistica completa e credibile, che si alternano di volta in volta in modo sublime. Amicizia è la chiave di lettura dello spettacolo che portano in scena: due sedie, due chitarre, una bottiglia vino… tra chiacchiere e canzoni… dopo cena.

Al teatro ci accoglie Edoardo, attento e premuroso nei confronti dei suoi ospiti. Neri, ancora fuori nel piazzale antistante, si rende disponibile nei confronti di due ragazze che gli chiedono una foto. Li osservo con la coda dell’occhio, prima con uno sfondo, poi lui stesso divertito a proporne un altro. Nel giro di qualche passo ci ritroviamo nell’atrio, a ridosso delle scale che ci avrebbero portati nel backstage del teatro. Il mio sguardo si posa sulla tavola, quella stessa tavola che sarebbe stata in scena da lì a poco. Edoardo, ancora scettico sulla capacità di pescaggio del mio registratore, si accomoda vicino a Neri: due amici nel pomeriggio, a parlare di vita e di musica. Ed io fra di loro.

Da una parte lo straordinario interprete de “Il cuore altrove”, dall’altra l’autore di nuoveCanzoni che, senza orpelli né sovrastrutture, ridanno luce e bellezza a quei luoghi dell’anima di chi li sa percepire. Neri Marcorè, corteggiato dalla fiction televisiva così come dal cinema impegnato, ed Edoardo De Angelis, “il cantautore necessario”, un padre della canzone d’autore in Italia… Il pensiero corre a mio padre, all’11 dicembre e che sarebbe stato il suo compleanno. Dappoi quel sottile velo di malinconia cede nuovamente il posto alla mia divertita curiosità. E mi ridesto… “Il mondo sta bruciando”, dando voce alle chitarre. Si apre il sipario, applausi a scena aperta, un brindisi al pubblico in sala. Si comincia…

Edoardo, Neri, a chi è venuta l’idea di contattare chi? In che modo? Messaggino, WhatsApp, telefonata, e-mail…? Viviamo nell’era dei social e riflettevo su come sia facile, non solo “entrare in contatto” con qualcuno ma anche “aggiungerlo” agli amici: io, ad esempio, ho contattato Edoardo tramite Facebook… ed eccoci qua. Come nasce il vostro sodalizio artistico? Quest’amicizia che va oltre la scena?

Neri: «Ci conosciamo da tempo, non c’è stato un contatto allo scopo di fare lo spettacolo. Ci siamo conosciuti e poi, da amici, sono capitate varie situazioni nelle quali ci siamo ritrovati insieme…» puntualmente ricordando Edoardo: «… la nostra amicizia è nata in Sicilia, sulle Madonie.»

Avete anche delle canzoni in comune, partecipando al terzetto.

Neri: «Sì, sì, dopo sono arrivate pure quelle… però, insomma, tra una cosa estemporanea e un’altra, ci siamo detti: “Ma perché non facciamo?”…»

Neri sorride, Edoardo risponde: «È un fatto molto naturale, com’è anche naturale quello che accade sul palco. Improvvisiamo e ci comportiamo proprio come due amici che hanno voglia di fare due chiacchiere. A parte l’amicizia, il sentimento vero che ci lega è la passione che entrambi abbiamo per la musica, per la canzone… soprattutto per un certo tipo di canzone…»

… La canzone d’autore, rilanciando prontamente.

Edoardo: «Sì, certo, la canzone d’autore. Neri ha lavorato sul repertorio di Gaber, facendo spettacoli importanti; ha lavorato ancora su Gaber e Pasolini, su De André e Pasolini… È molto dentro al mondo della canzone d’autore: peraltro, conosce, sa cantare e suonare più canzoni di quante non ne conosca io stesso…»

… Imita anche Bruno Pizzul sulle note de “La leva calcistica della classe ‘68”, con un assist servito per Neri.

Neri: «Sì, è uno dei divertimenti che abbiamo durante lo spettacolo. Diciamo che, non scrivendo canzoni, interpreto quelle altrui. Quindi, alla fine, tra una serata in spiaggia o in casa tra amici, si cantano canzoni che sono poi diventate il bacino dal quale peschiamo. Spaziamo tra quelle di Edoardo e quelle di altri artisti, anche amici in comune, e capita, ad esempio come l’altra sera, che Edoardo citi Jimmy Fontana, ‘Che sarà’, e poi io la faccio.»

Accogliete il pubblico in un’atmosfera familiare e lo rendete partecipe delle vostre vite: due artisti a confronto, due generazioni differenti, due itinerari di viaggio che corrono paralleli nei vostri racconti. Avete mai pensato alla possibilità di introdurre nelle dinamiche di questo dialogo due donne, due amiche, due compagne… per arricchire, diversificare, infittire la trama del racconto?

Neri:

«Nel DNA dello spettacolo stesso non c’è una drammaturgia, non c’è un copione…»

in scia anche Edoardo:

«… non c’è neanche una trama. Si ratta di canzoni e di discorsi, che di volta in volta nascono spontaneamente, frutto dell’intuizione o del confronto con l’altro. Poi Neri – come dire – è uomo di teatro: quindi il palcoscenico, quello che può venire… i tempi e i modi li conosce molto bene. Una trama non c’è; poi, per inserire delle figure femminili, dovresti parlare con le nostre rispettive signore e molto probabilmente non sarebbero nemmeno d’accordo…»

Neri: «… Ma quello è un problema relativo. Si chiacchiera così perché ci conosciamo e siamo amici; gli unici innesti sarebbero di altri amici o amiche. Non si possono prendere artificialmente due attrici e metterle qua. A far che? Non avrebbe senso…»

Edoardo: «… Invece se capita un collega, magari in sala quel giorno, com’è successo al Sistina, a Roma… con Luca Barbarossa o Amedeo Minghi…»

Neri: «… Allora una chiacchierata che è a due, in certi momenti potrebbe diventare a tre, a cinque…»

Edoardo: «… Però, siccome il nostro a due, dura già un paio d’ore… a tre o a cinque si porterebbe via tutta la giornata…»

… Dunque dicevo… prendi una sera due amici attorno a un tavolo, due chitarre e una bottiglia di vino. Qualcuno sostiene che “In vino veritas”… per cui vi chiedo: qual è la verità che vi raccontate ogni giorno?

Neri: «Non mi prenderei troppo sul serio. Diciamo comunque che la verità che ci raccontiamo è ovviamente mediata dal fatto che siamo sul palco e che quindi, anche se alcune domande e risposte già le conosciamo, c’è chi le sente per la prima volta e dobbiamo anche fingere di non saperle. Si fa così. Se no ogni replica di uno spettacolo scritto finirebbe dopo la prima. Poi, per il resto, siamo sicuramente privi di qualsiasi sovrastruttura in questa veste: siamo noi stessi e chiacchieriamo come faremmo nel salotto di casa alla presenza di persone che evidentemente sono incuriosite e vengono non so con quali aspettative…»

Edoardo: «… Sì, sostanzialmente il senso è questo: noi raccontiamo parte delle nostre storie, delle nostre avventure di lavoro. Ma non solo…»

La conversazione è armonica come un buon vino ma il tempo passa, lo spettacolo incalza. Li rassicuro dicendo che avrei rivolto loro le ultime domande… Andando a ritroso nel tempo, nel lontano ‘88 un poco più che vent’enne Neri Marcorè partecipa come concorrente a “La corrida” su Canale 5 e vince. C’è qualcosa per cui ti senti ancora adesso un “dilettante allo sbaraglio”? La stessa domanda la rivolgo anche a te, Edoardo.

Neri: «Era la preistoria…» e il suo sorriso lascia il posto alle parole di Edoardo: «A me piace sentirmi dilettate, ogni tanto. Allo sbaraglio forse non più, perché ormai ricorre il cinquantesimo anniversario dagli esordi di questa carriera. Lo sbaraglio è passato, rimane quel minimo di tremore, di emozione prima di salire sul palco. Però mi piace il concetto di ‘dilettante’: se tu analizzi la parola, il dilettante è uno che si diletta. Beh, io mi diletto molto a fare questo lavoro, soprattutto mi diletto quando lo faccio con Neri, perché in effetti godo di questa condizione di due amici che hanno un’occasione in più per trascorrere un po’ di tempo insieme e scambiarsi qualcosa.» E Neri annuendo: «Io poi, facendo tante cose, alla fine mi sento dilettante in tutto, anche se talvolta mi rendo conto che, alla soglia di trent’anni di carriera mista tra varie attività, ho abbastanza codici per sapere dove appoggiarmi e cosa offrire a chi mi guarda. Però l’atteggiamento è sempre quello di curiosità, di meraviglia. Mi piace comunque rischiare e tante volte mi sono buttato in cose che non sapevo fare…»

… E che però ti sono riuscite egregiamente, riprendendo la parola al balzo e strizzando l’occhio complice.

«Sì – sorride Neri – poi alla fine sono venute bene… sapendo che mi stavo mettendo in gioco e che avrebbe potuto anche esserci il rischio della figuraccia o della ‘figura da dilettante’.»

Edoardo: «Neri prima ha usato una parola importantissima, ha detto ‘curiosità’.

La curiosità è sicuramente una dote delle persone intelligenti e penso sia imprescindibile continuare ad avere curiosità delle cose, vederle da dentro… lo stupore…»

Giuro che vi faccio l’ultima domanda e vi lascio alle prove… Alla fine della fiera, con una nota pesa di nostalgia, comunque le band si sciolgono. Nella vostra esperienza umana e professionale esiste ancora qualcosa da poter etichettare con “per sempre”?

Neri: «… Le band si sciolgono… tranne i Rolling Stones e i Pooh… anche se i Pooh ultimamente…» Dappoi si fa più serio: «“Per sempre”? No, ti direi di no! Tutto quello che è già stato fatto in passato e che magari ha avuto la grande fortuna di essere stato apprezzato, potrebbe anche far pensare che possa durare per sempre, come un bel film o una canzone di successo. E quel film lì, quella canzone lì, magari c’è qualcuno che li apprezza e che li apprezzerà per sempre. Forse ci saranno anche altre persone che se ne innamoreranno… Per quanto riguarda le vicende della vita, penso sia bello poterlo dire a posteriori: questa cosa è durata per il mio sempre. Però non dirlo, forse, è anche meglio… lasciarsi sorprendere dalla vita con qualcosa che non sia necessariamente per sempre… ma che ci sia dell’altro.»

Edoardo: «Se dovessi rispondere anch’io a questa domanda, direi che “per sempre” è l’attenzione per i valori reali della vita; l’essere rispetto all’avere; quei valori che sono la nostra vera ricchezza, i sentimenti… i sentimenti messi nell’amicizia, i sentimenti messi nel lavoro, i sentimenti messi nella musica. Questo credo sia quello che per me è per sempre.»

«Sono stato inginocchiato per tutto il tempo dinanzi al vostro cospetto…» risollevandomi divertito sulle ginocchia per fare un ultimo scatto insieme e salutarli come si conviene a due amici «… però ne è valsa la pena.» Grazie Edoardo, grazie Neri!

Il teatro Jolly di Palermo colmo al massimo della capienza; un’atmosfera così familiare ad accogliere un pubblico entusiasta, reso partecipe delle vite dei due protagonisti; le emozioni in sala arrivate vibranti alle poltrone. Fuori dalla scena risuonavano nella mia testa “Lella”, dell’amico Edoardo De Angelis (non smetterò di ringraziarlo per questo privilegio); “La leva calcistica della classe ‘68”, nell’inedita telecronaca di un Pizzul dalle sembianze di Neri Marcorè; echi di De André, Fossati, Gaber come un tridente d’attacco nella partita del cuore. Laura, mia moglie, ancora canticchiando, continuava a sorridere e le si illuminava il viso; Livia che da lì a poco avrebbe emesso il suo primo vagito; quell’illogica allegria nell’aria e io… io mi sentivo bene. “Io sto bene come uno che si sogna”

 

Gino Morabito

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