DIROTTA SU CUBA, FUNK ON STAGE!

DSC 01_musicaintornoI Dirotta Su Cuba sono senza dubbio una band che, nonostante una storia costellata da vicende alterne, separazioni e reunion, ha ritagliato il proprio spazio all’interno del music business italiano.

Allo stesso tempo è sotto gli occhi di tutti – e della stessa band, come vedremo all’interno dell’intervista rilasciataci – che il successo esplosivo riscosso nella seconda metà degli anni ’90 non ha conosciuto una continuità tale da costruirsi un nome che possa essere considerato storico nella musica italiana. Eppure il trio fiorentino è stato il primo ad importare nel Belpaese certe sonorità funk e acid jazz filtrandole sotto un punto di vista pop, melodico e fortemente radiofonico. Oggi, a distanza di un ventennio dal primo exploit, la band celebra sé stessa con Studio Sessions vol. 1, sorta di best of contenente versioni riarrangiate e risuonate di alcuni grandi successi. All’interno del tour di promozione alla suddetta uscita non poteva mancare una puntata siciliana, considerando il calore che l’isola ha costantemente dimostrato in passato. Abbiamo, dunque, colto l’occasione dello show dei Dirotta Su Cuba al MA di Catania per riportare quanto avvenuto in sede live, oltre che per uno scambio di battute con i membri fondatori Simona Bencini e Stefano De Donato.

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Salgono sul palco i Dirotta Su Cuba, dando vita ad uno show su cui è difficile spendere molte parole. Gusto, groove, passione ed esperienza parlano da sé nella costruzione di uno spettacolo completo, diretto e senza fronzoli. La scelta di presentarsi con una band completa di chitarra e cori mette in risalto la concezione fortemente votata ad un impatto live. La scaletta verte sul già citato Studio Sessions Vol. 1, ed è quindi una summa del classici della band, dalle iniziali “Parole” e Liberi di liberi da” a “Gelosia” e “Jesahel” passando per la nuova “Sei tutto quello che non ho”. Con brani di questo peso specifico, suonati in maniera impeccabile e con una grande personalità è impossibile non coinvolgere il pubblico che affolla il MA. La musica dei Dirotta su Cuba rappresenta infatti una convergenza tra capacità tecnica e disimpegno, talento compositivo e leggerezza, e in questa occasione ogni volto della medaglia è rappresentato. D’altronde il meccanismo scatta quando sono i musicisti, in primis, a divertirsi, il che traspare dalle coreografie in stile The Jackson 5, dal grande interplay e dal carisma (come non citare, in questo senso, le pose del chitarrista Luca Gelli). Tirando le somme, va constatato che una band come i Dirotta Su Cuba può dare vere e proprie lezioni di stile tramite i suoi concerti, senza che essi siano invece ridotti a esercizi di stile. Che possa essere proprio questo il periodo giusto per una riscoperta del combo fiorentino, in un ambiente mainstream che vive un revival di certe sonorità funk old school?

DSC 03_musicaintornoDel legame col passato, della propria storia e delle ultime vicende discografiche abbiamo parlato con Simona Bencini e Stefano De Donato, aperti e disponibili, in un rilassato momento pre-concerto.

Studio Sessions vol. 1 sancisce il ritorno in studio della band a dodici anni da Jaz. Si tratta di un album ricco di sfaccettature, contenente alcune re-incisioni dei maggiori successi, inediti e collaborazioni con ospiti di spessore. Come è nato il progetto?

Simona Bencini: «Sicuramente, dopo tanti anni di assenza, la dimensione che abbiamo cercato di riconquistare è stata quella del live, perché è quella nella quale veramente ci siamo ricompattati anche umanamente. Dieci anni distanti hanno dato vita a diversi aspetti da chiarire.»

Stefano De Donato: «È come tornare con una ex! [ride, ndr]»

S.B.: «Era importante incontrarsi sul territorio più congeniale, riformarsi come ci eravamo formati tanti anni fa, suonando dal vivo. Quindi volevamo omaggiare questa nostra versione più live con un album. Mancavamo da tanti anni discograficamente e quindi ci è parso il momento giusto per riproporre i nostri brani più famosi e festeggiare il ventennale dal primo disco.»

S.D.D.: «Un’altra motivazione è che, mentre i Dirotta hanno avuto sempre dei dischi molto importanti musicalmente, non eravamo mai riusciti a trasmettere e registrare la nostra energia live, con degli arrangiamenti più scarni ma sicuramente più diretti e più sanguigni, e questa era una cosa che ci dispiaceva. Dall’altro lato ci è piaciuto ripresentarci in questa veste, perché nei dieci anni in cui siamo stati fermi il buco lasciato nel funky italiano non è stato coperto da nessuno. È stato abbastanza naturale ritornare anche per le nuove generazioni, con i brani rivisitati. Brani che sono stati importanti per la crescita di molte persone, come più volte ci è stato riferito da tanti musicisti e appassionati. Era un omaggio al nostro lavoro, abbiamo ricevuto un riconoscimento maggiore di quello che ci aspettavamo. Quando ci siamo sciolti sapevamo quello che eravamo e quanto valevamo, ma stando lontani dalle cose certe volte si vedono in maniera più lucida.»

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“Sei tutto quello che non ho” vede ospite il rapper Max Mbassadò. Vedete questa collaborazione come un’apertura verso il mercato italiano contemporaneo, di cui il rap è protagonista, o piuttosto come una celebrazione del legame originario che congiunge funk e rap?

S.D.D: «A tutti noi è sempre piaciuto un certo tipo di rap, tanto che noi facevamo delle cose rap a fine anni ‘80.»

S.B.: «Ma non rappavo io, se ne occupava Stefano! [ride, ndr]L’idea della parte rap in “Sei tutto quello che non ho” è stata proprio sua. La scelta iniziale era di mettere una sezione fiati, poi lui ha campionato un rap pazzesco di Will.I.Am ed è suonato perfettamente.»

D.D.: «Io sono cresciuto con l’old school, la conosco benissimo. Parlo di A Tribe Call Quest, De La Soul o band più seminali tipo Boo-Yaa T.R.I.B.E. o Queen Latifah. È stato uno sfizio che ci siamo tolti.»

S.B.: «È stato però difficile trovare un rapper inglese in Italia, perché la nostra idea è stata di farlo in inglese sin dall’inizio.»

S.D.D.: «In caso contrario sarebbe suonata come operazione commerciale con il rap italiano, invece secondo noi su quel groove avrebbe suonato proprio bene una roba abbastanza old school, e così è stato il suo modo di rappare.»

Quella di Catania è l’unica tappa siciliana del vostro tour, ma l’isola è sempre stata una meta fissa dei vostri live. Che feedback percepite dal vostro pubblico locale?

S.B.: «Bellissimo! Ho solo dei ricordi belli del pubblico siciliano. Ricordo che nel ’97 abbiamo fatto un mini tour interamente in Sicilia di almeno quindici date, proprio perché abbiamo sempre colpito. Non succede dovunque, la musica dei Dirotta non funziona dappertutto nello stesso modo.»

S.D.D.: «Ci sono delle regioni che faticano ad accettarci, e altre – fra le quali la Sicilia – dove sembra che il tempo per noi non sia mai passato.»

Quindi tornerete anche a breve?

S.D.D.: «Penso di sì, quest’estate per forza!»

S.B.: «Le problematiche di tornare in Sicilia sono solitamente legate al viaggio, agli spostamenti e ai costi di logistica, non a mancanza di richieste.»

S.D.D.: «Girando con una band completa è anche più difficile, non ci piace portare situazioni live a metà con meno membri, sarebbe un compromesso brutto.»

DSC 05_musicaintornoA distanza di quasi trent’anni dalla formazione della band vi sentite di affermare che avreste meritato di più sulla scena nazionale, o avete raggiunto gli obbiettivi che vi eravate preposti?

S.D.D.: «Personalmente direi che, da quando abbiamo iniziato, è stata tutta una grandissima botta di culo! [ride, ndr] Vedo tanti ragazzi, tanti colleghi e tanti amici che io reputo bravi e capaci che non hanno avuto la stessa fortuna. Io però non sono uno che crede alla fortuna, per cui penso che probabilmente quello che abbiamo ottenuto nel bene e nel male è frutto del nostro lavoro, anche degli errori.

Io penso che, più che meritarci di più, avremmo potuto essere gestiti un po’ meglio. C’è una fase di lavoro in questa professione in cui c’è uno stallo, fino a che non diventi maturo artisticamente devi fidarti delle persone che hai intorno, perché sei in un ambiente nuovo di cui non conosci i meccanismi.»

S.B.: «Ma soprattutto nella prima fase se non trovi le persone che ti sanno gestire puoi trovarti dei disastri che poi tu devi rimettere a posto, ma non sai come fare.»

S.D.D.: «Già parla da sé il fatto che noi avevamo alle spalle una grandissima casa discografica che però non aveva idea di come proporci, perché in quel momento noi eravamo una novità, suonando il nostro funk. Questi non avevano idea che in tutto il mondo questo genere funzionasse e non sapevano come gestirci. Ci hanno spremuto come dei limoni, ci hanno fatto fare tutto – molto sotto l’occhio della telecamera – ma in realtà non le cose giuste per noi, e ci sono voluti quindici anni perché le case discografiche capissero che un certo tipo di black music aveva dei percorsi alternativi, festival dedicati. A noi ci mandavano al Festivalbar, ma che c’entra lì dentro una band come la nostra, che fa suona una musica sicuramente pop ma di altro spessore?»

S.B.: «Le radio ci passavano parecchio, quindi siamo diventati un fenomeno sicuramente pop, ma dentro c’era qualcosa di più.»

S.D.D.: «Il punto era sicuramente a favore nostro, le radio hanno sposato appieno il nostro progetto, ma dall’altra parte si è rigirato in un fattore negativo perché siamo diventati molto popolari e siamo stati buttati in situazioni assurde in cui noi non c’entravamo nulla.»

DSC 06_musicaintornoForse il terreno non era pronto per un certo tipo di suono?

S.D.D.: «Quando sei tu ad aprirti la strada, come se avessi un machete in mano, sei tu che ti fai il culo; per quelli che arrivano dopo è sempre più facile. Noi siamo stati i primi a fare queste cose e abbiamo preso il lato positivo e quello negativo, ma succede spesso quando sei un apripista.

Devi avere accanto dei discografici molto lungimiranti e molto intelligenti, noi non abbiamo avuto questa fortuna. Ovviamente da giovanissimi come eravamo siamo stati un po’ inglobati dal sistema. Calcola che dall’uscita di “Gelosia” al dopo Sanremo non ci siamo mai fermati.»

S.B.: «Abbiamo fatto tre album in tre anni e mezzo, anche questo è stato sbagliatissimo, perché ovviamente non hai il tempo di ricaricarti da un punto di vista compositivo, ma anche psicologico. Bisognava produrre e produrre, perché c’era anche quest’idea che noi dovevamo essere soltanto una moda di passaggio.»

S.D.D.: «Ci hanno pressato in una maniera insana e noi a un certo punto ci siamo chiusi nei confronti della discografia. Trovarsi a quei livelli è bellissimo da un punto di vista ma da altri no, perché finisce l’uomo ed esiste solo l’artista. Noi eravamo anche in un’età importante, infatti quando poi ci siamo fermati tutti abbiamo messo su famiglia, abbiamo cercato i valori essenziali, le cose che rimangono realmente. Non ci hanno dato modo di vivere il successo, perché erano fondamentalmente degli incapaci. Non penso neanche che fossero dei delinquenti, molti erano dei semplici incapaci, e noi eravamo inesperti. Poi abbiamo avuto anche qualche squalo attorno. Però alla fine va bene così, tutto ha un senso. Anche le cose più brutte in qualche maniera hanno un senso in più. Potrei aver sbagliato delle cose, ma quello capita a tutti, non ci sono grossi rimpianti.»

 

 

Francesco Paladino

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